LA VIOLENZA INCISA NELLA CARNE (di Lara Carrozzo)
La nostra carne racconta e descrive numerose sensazioni (raramente piacevoli), di corpi e funzioni corporali, di malessere, una impressionante quantità di malessere, come quando hai mangiato qualcosa che non riesci a digerire, o come quando hai mangiato qualcosa che detesti, che ti riempie di nausea.
La carne tace dentro il proprio destino, di fronte al sopruso, e si stringe nel suo drammatico silenzio. Solo rare volte ha il coraggio di urlare, nei sussurri e nei gesti del corpo violato, quel dolore inciso nella carne.
“Come quella ragazza nigeriana, che torna a casa col sangue che cola lungo le cosce, sutura la ferita con ago e filo e prova a fare come se niente fosse”.
Non c’è amore dove il silenzio nasconde la violenza. E proprio il silenzio diventa parte della storia schiacciata e taciuta che la carne si porta dentro. Invece l’occhio della compassione è l’occhio della speranza, quello che sa vedere il dolore del mondo e credere nella redenzione.
La carne aggredita e violentata, può vivere reazioni di diverso genere, non c’è una risposta univoca: a volte reagisce immediatamente, altre volte dopo molto tempo; a volte rimane traumatizzata, altre volte recupera. Questa carne prova: shock, confusione, ansia, intorpidimento, oppure nega l’accaduto. La rabbia la sente dentro come dolore e questo le impedisce di guarire dalle profonde ferite. Prova vergogna e colpa, non riesce a relazionarsi col mondo esterno, evita il contatto con l’altra carne.
Questa carne abusata e dilaniata, è per tutti una lettera vivente che ancora attende risposta.
Oggi, piuttosto che reclamare giustizia, la violenza serve di pretesto alla politica.
Non so perché mi viene in mente un caso molto lontano nel tempo, quello di Artemisia Gentileschi, che fu una pittrice vissuta a Roma nel XVII secolo. Nel 1611 Artemisia subì uno stupro da parte del pittore toscano Agostino Tassi, impegnato in quel tempo, assieme al padre di lei, Orazio Gentileschi, nella decorazione delle volte del Casino della Rose nel Palazzo Pallavicini Rospigliosi di Roma. Il padre denunciò il Tassi che, dopo la violenza, non aveva potuto rimediare con un matrimonio riparatore perché già sposato. Del processo che ne seguì è rimasta testimonianza documentale e colpiscono la crudezza del resoconto di Artemisia e i metodi inquisitori usati dal tribunale. Artemisia accettò di deporre sotto tortura, che consisteva nello schiacciamento dei pollici attraverso uno strumento usato ampiamente all’epoca. La sua carne venne torturata a lungo. Il processo si concluse con una lieve condanna del Tassi, ma ebbe grande influenza sulla lettura in chiave femminista a partire dalla seconda metà del XX secolo.
Lo stupro della carne è considerato oggi metodo di tortura e strumento di guerra. Fra i casi più tristemente noti, ricordo la vicenda di “stupro politico”, di matrice neofascista, di cui fu vittima l’attrice Franca Rame, e le denunce mosse al governo cinese in materia di violazione dei diritti umani nei confronti delle donne appartenenti al movimento spirituale Fa Lun Gong.
Nelle situazioni di conflitto il rischio di subire una violenza della carne è molto elevato. Abusare delle donne è considerata una ricompensa per i soldati nonché un vero e proprio metodo di sopraffazione per fiaccare la resistenza psicologica della popolazione. Dopo la guerra in Bosnia-Erzegovina, in cui l’uso dello stupro come arma di pulizia etnica era stato portato all’attenzione dei media internazionali, nel 1993 un gruppo di deputate europee presentò alle Nazioni Unite la proposta di riconoscere lo stupro come crimine di guerra. Con la risoluzione n. 1820 del 19 giugno 2008, le Nazioni Unite hanno inserito lo stupro fra le armi da guerra. Casi di violenze della carne di massa si sono registrati o sono ancora presenti nei territori dell’ex-Jugoslavia, della Cecenia, del Darfur, dell’Iraq e di altri paesi del mondo. A volte sono gli uomini ad essere vittime, come in Cile, Grecia, Croazia, Iran, Kuwait, ex Unione Sovietica ed ex Jugoslavia. Uno studio su 6.000 internati a Sarajevo ha evidenziato che l’80% degli uomini era stato stuprato.
Il 23 settembre 1998, il Tribunale penale internazionale per il Ruanda dell’ONU, stabilì che la violenza della carne, o è più corretto dire, la violenza carnale, era un crimine di guerra. Oggi tale delitto sulla carne è proibito in tutti gli Stati del mondo, anche in guerra.
Nonostante tutto, questa violenza incisa nella carne, rimane per sempre come mappattura all’interno dei corpi che l’hanno subita. Queste incisioni sono molto precise e geometriche, e le loro angolature torturano più che mai il cuore di chi se le porta dentro. Come vivessero in una sorta di habitat naturale, si impadroniscono di te, rubano la tua esistenza, e si nutrono dell’amore che porti dentro per vivere, proprio perché, quelle incisioni hanno il compito di rubare amore!
Così a questa carne viene meno la linfa vitale che la fa vivere: il sangue! E il suo serbatoio di sangue, che è amore, si svuota di continuo, e annaspa nella speranza che le ferite si riemarginino e scompaiano per sempre!
La fragilità che ne consegue, rende questa carne vibrante e incapace di sentire pienamente ciò che tutti gli altri percepiscono normalmente, vivendo nell’eterna attesa di realizzare quel sogno tanto sperato, che sta nella parola GUARIGIONE.