Il Tribunale delle umiliazioni e del pettegolezzo – La legge non è uguale per tutti! (di Lara Carrozzo)
Continuavo a ripetermi che fosse solo un film, che non fosse la mia storia; mi vedevo entrare in Tribunale, sezione penale, ancora prima di esserci entrata veramente. Una visione di me estatica e allo stesso tempo maledetta; già “l’artista maledetta”, costretta a difendersi, con sulle spalle una pena già scontata, quella della vita vissuta, dieci anni e mezzo di bruciature e lividi in tutto il corpo. Quattro anni prima, con lui, nel carcere di casa, nella violenza, e sei anni e mezzo dopo, nei freddi corridoi e nelle aule del Tribunale, tra brividi interiori alternativamente caldi e freddi. Questo per anni, con l’illusione di convincermi di non aver mai subito o di non subire più. Dopo tanto tempo, non mi sentivo più una persona, ma mi sentivo come “animalizzata”, nell’attesa che prima o dopo ci sarebbe stato un verdetto, una giustizia non interrotta dalla follia mentale di tanta gente oggi “disabile mentalmente”, che non riflette sulla storia umana delle persone, tant’è vero che oramai tutti siamo o un caso per un Tribunale, o un numero per l’ospedale. Non so davvero in cosa si stia trasformando il mondo oggi, so solo che è quasi estate, e proprio oggi ci sarà la discussione e forse verrà emesso il verdetto finale di primo grado, che annuncerà una condanna o un’assoluzione…chissà se il convincimento umano sarà più forte di una qualunque prova. L’unico appello che posso fare a me stessa è: “ Dio assistimi! Fammi vedere attraverso i tuoi occhi la luce!”.
Varco la porta del Tribunale, nella solitudine più totale controllano i miei oggetti personali, con freddezza; dall’Avvocato, il mio, mi viene indicata l’aula del Tribunale dove avverrà la discussione attesa sei anni e mezzo; è l’aula tre, mi dice, la raggiungo sentendo addosso occhi che mi guardano con cupidigia e curiosità, ci sono molti uomini in Tribunale, io indosso una gonna lunga a fiori con sfondo nero, e una camicetta rosa antico; si vede tutta la mia femminilità, ma è velata, sono completamente coperta dai vestiti. Mi dirigo con gli Avvocati nell’aula, tutto è grigio, cala il sipario davanti ai miei occhi, non voglio vedere quello che accadrà di lì a poco; intanto in un angolo scorgo lo sguardo del mio ex marito perso nel vuoto, è il mio carnefice, e penso: “se ne sta lì seduto a fare cosa? Sembra un cane tenuto fermo all’angolo con un collare dal suo Avvocato”. Il suo Avvocato è molto influente, non teme nulla, il mio è altrettanto bravo…ma ci sono poteri avversi nelle aule dei Tribunali. Inizia la discussione, la Presidente del Collegio, stranamente una donna, apre il dibattito e passa subito la parola al Pubblico Ministero, che un solo “click”, smonta il Processo, con poche parole immotivate, stupide, misogine: “Questo Processo non ha ragione di essere, perché nella fase iniziale era stato archiviato! (da una donna peraltro). Questo processo nasce da un’imputazione coatta, una forzatura che non ha ragione di esistere!”. Parole, stupide e prive di senso, riflettevo io, mentre già cominciavo a perdere le forze fisiche e psicologiche. Il massacro continua, lacrime poco fluide, iniziano a scorrere sul mio volto. Ora interviene il mio Avvocato, è egregio, eccezionale, preciso, ma non basta; l’ultima parola tocca all’Avvocato che difende il mio carnefice. La sua arringa non finisce mai, e con dovizia di particolari, parla di minigonne che non ho mai indossato, di pseudo-tradimenti mai avvenuti, di referti ospedalieri inconsistenti, umilia la mia famiglia di origine dichiarandola assente ed incapace di inquadrare la situazione. Una misoginia sottile e pungente, ai limiti dell’inverosimile, con citazioni letterarie erudite e infinite; il tempo passava ed io di secondo in secondo mi sentivo sempre più piccola, ero diventata al pari di un punto sul quaderno. Non la finiva di massacrarmi in modo signorile e magistrale, facendo riferimento anche alla turbolenza sessuale della nostra coppia. Pensavo, ingenuamente, sentendomi sempre guardata con bramosia, viste le foto della mia persona portate come prove dal mio Avvocato, dove s’intravedevano le mie delicate e private grazie, e che il mio carnefice aveva strumentalizzato a suo piacimento…: “ma perché a nessuno importa nulla di come mi sento? Cos’è questa freddezza, cosa sta succedendo, ma sono io la parte offesa!”. D’un tratto mi sentivo colpevolizzata sino a tal punto, da sentirmi io l’imputata. Si erano invertite le parti: PROCESSO A CARICO DI ME STESSA. Reati: stalking, violenza domestica e per finire…violenza sessuale. Ero io la carnefice! Le logiche di potere avevano scavalcato le logiche umane in un… “click”. Lo stesso “click” che facevano le mie palpebre ad ogni loro sillaba. Tra umiliazioni ai limiti dell’impossibile e pettegolezzi sull’orlo della follia si consumava l’udienza conclusiva di primo grado…il verdetto era ovviamente rinviato a quattro mesi dopo. “È un processo complesso, non possiamo esprimerci in questa giornata”, si giustificava così il collegio. Sei anni e mezzo su quella croce, come Gesù Cristo…e loro…non potevano esprimersi in quel momento. Le mie gambe diventano rigide e tremano forte, come dopo la violenza, lui è lì sempre all’angolo, tenuto a bada da chissà quale sedativo. Usciamo dall’aula, vengo accompagnata in bagno, ho difficoltà nella minzione. Grido forte dentro me stessa: “Dio ti prego, fammi vedere la luce attraverso i tuoi occhi!”. Ricevo come una risposta, che suona così: “Figlia mia, non è questo il luogo della giustizia, vieni con me, dove alla luce si aggiunge altra luce, ti porterò nel Regno Eterno…dove tutto brilla”. Quell’eternità fu l’ultima immagine che vidi, mentre gli avvocati portavano il mio corpo appesantito fuori dal Tribunale. Era terminata solo la discussione di primo grado.
Lara Carrozzo
Toccante. Disarmante. Descritta con padronanza di termini e tanta eleganza. Traspare una grande sofferenza. Brava Lara. Io sto con te.
Grazie caro Piero