Capitolo V tratto dal libro Cinquanta Passi di una libertà negata di Lilli Pati ed. Kimerik.
Inganno
I primi bagliori dell’alba filtrarono dalla finestra colorando le pareti della piccola cella di Vera. Un sonno agitato l’aveva lasciata con gli occhi puntati al soffitto, pensava e rimuginava a quanto era successo, mille pensieri e tante domande la assillavano. Non era la prima volta che qualcuno cercava di rubare dei farmaci dal carrello dell’infermiere, ma questa volta era un chiaro segnale per qualcuna che aveva osato sfidare la sorte. Tutto ciò la condusse in uno stato di agitazione. Mai come in quel preciso momento avrebbe desiderato trovarsi lontana da quel posto e gridare quanto più possibile, un grido trattenuto ormai da troppo tempo.
Come un effetto domino, i ricordi si aprirono da quell’angolo nascosto, volutamente dimenticato. Si fecero sempre più nitidi e, con lo stesso bagliore di quell’alba, divamparono nella sua mente.
– Dai sali in macchina, ti accompagno a casa, inizia a piovere. – In lontananza si udì un forte tuono.
Filippo era un ragazzo che Vera conosceva da sempre. Uno con cui bisognava stare attente. Sua nonna si raccomandava sempre con lei, di non dargli troppa confidenza. Era un tipo affascinante, dai colori mediterranei, ma facilmente irascibile e si lasciava coinvolgere anche in piccoli reati. Insomma uno da tenere a distanza.
– Non è il caso, faccio una corsa e prendo il pullman.
Con voce tremula e il rossore alle guance Vera cercò di eludere quell’invito ma Filippo le tagliò la strada con prepotenza e cercò di scendere dalla macchina quasi come un atto di sfida. Vera non si perse d’animo e si mise a correre più forte che poteva. Intanto il cielo si vestì di grigio plumbeo e iniziò a piovere forte. Vera fece in tempo a salire su quel pullman, seppure tutta fradicia e col cuore che si era perso in gola. Aveva paura di lui. Aveva paura di tante cose. Rimase aggrappata al maniglione del mezzo, non c’era neppure un posto libero dove sedersi. Chiuse gli occhi per un attimo, respirando lentamente per calmarsi, mentre i brividi gelidi trasalivano su tutto il corpo. Non riusciva a sentirsi sicura. Non aveva ancora deciso se dirlo o no alla nonna. Non voleva storie. Soprattutto non voleva che quel poco di libertà che aveva le venisse tolta. Decise di tacere, una scelta che pagò a caro prezzo.
In pullman, durante il tragitto, Vera conobbe un ragazzo, sembrava gentile e educato. Una serie di sguardi e mezzi sorrisi furono il pretesto di iniziare delle conversazioni giornaliere, sino ad arrivare a delle piccole confidenze. A Vera, Paolo piaceva proprio perché sembrava una persona diversa, fuori dal comune. Lei amava i modi gentili. Sembrava tutto l’opposto di Filippo: il bianco col nero, il diavolo e l’acqua santa. Bastarono pochi incontri casuali sul pullman perché Vera iniziasse a fidarsi di lui.
– Senti Vera, ti va di uscire con me domani pomeriggio? Facciamo un giro, prendiamo un gelato e poi ti riporto a casa?
Per niente intimorita Vera fece cenno di si con la testa. Da qualche tempo aspettava che quel sogno divenisse realtà. Sentiva finalmente una gioia dentro. A diciassette anni non conosceva la libertà di ritrovarsi a passeggiare sola con un ragazzo. La sua vita aveva già subito diverse battute di arresto. Dopo lo sgretolarsi di una famiglia inesistente, la costante presenza dei servizi sociali che monitoravano il suo cammino e la severità della nonna, a lei mancava quell’affetto, quelle attenzioni che una ragazza di quell’età si aspettava di ricevere. Lei aveva fame di amore. Nella sua mente, diversi disegni prendevano forma, i suoi occhi brillavano di felicità. Aveva voglia di sentirsi viva. L’unico ostacolo sarebbe stato come dirlo alla nonna. Lei era la sua unica famiglia e non la lasciava andare in giro da sola. Aveva troppo a cuore la sua fragile vita. Vera decise che a quell’appuntamento con Paolo doveva andarci, la sua complicità ricadde sul coinvolgimento di un’amica di scuola. Dovevano realizzare e studiare un progetto insieme.
In un pomeriggio, verso le ore 16,30, Vera uscì da casa per andare dalla sua amica, la nonna con occhio vigile la seguì lungo la via. Mille raccomandazioni, le solite, ma questa volta Vera sembrò non ascoltarle, la sua mente era altrove. Paolo la aspettava vicino ai giardinetti. Nulla lasciava presagire il piano diabolico che sarebbe stato messo in atto.
Paolo aveva un fascino particolare e a Vera piaceva essere guardata in quel modo, si sentiva lusingata. Dopo aver percorso diversi chilometri, la macchina si fermò in un pub lungo la costa. Era un pomeriggio come tanti. Il locale era affollato, la musica era assordante. Un chiacchiericcio continuo simile a un brusìo di vespe. Vera si sentiva fuori luogo, ma non voleva sembrare diversa. Raggiunsero un tavolo in fondo, quasi in penombra. Dopo un paio di drink, a Vera iniziò a girare la testa. Paolo ne approfittò per farle fumare un po’ d’erba, promettendole che si sarebbe sentita meglio. Stupidamente e con ingenuità si fidò. Voleva fidarsi. Mentendo a se stessa, si promise che sarebbe stata la prima e unica volta, che cosa mai le sarebbe potuto accadere, invece la situazione peggiorò. Vera sentiva la necessità di vomitare, chiese di essere accompagnata in bagno. Si sentiva troppo strana. Paolo non esitò un attimo. Tutto successe in pochi minuti. Arrivata in bagno, Filippo la spinse contro il muro, Paolo faceva da palo davanti alla porta e, mentre con una mano la bloccava, con l’altra introdusse un pezzo di stoffa in bocca per impedirle di urlare. Provò a scalciare e a colpirlo con tutta la forza che aveva, ma era tutto inutile. Filippo aveva un fisico possente. Lo stupro avvenne in maniera irruenta e veloce. Per quanto stordita fosse, riuscì a capire quanto le stava accadendo.
– Finalmente sei mia, verginella del cazzo! Hai finito di fare la schizzinosa. La tua verginità l’ho presa! Ora sei “MIA”, comprendi? Sarai la mia ragazza quando e come mi andrà. Hai finito di fare la stronzetta!
Il suo alito puzzava di alcool e di qualcos’altro, era disgustoso. Non era un uomo, era un mostro, lo stesso mostro che aveva cercato di rimuovere dalla sua vita: suo padre. Un’altra persona violenta nella sua vita. Non poteva sopportare tutto ciò. Si era fidata di una persona che credeva fosse amica e invece l’aveva tradita, ingannata e venduta a un pezzo di merda. Una feccia umana nata per distruggere la vita degli altri. Un altro essere infelice, frutto anch’egli della violenza altrui.
Filippo uscì dal bagno col ghigno soddisfatto, schioccando le dita e si prese una birra come se niente fosse successo, mentre Paolo per la prima volta si rese conto della bestialità del suo amico. Provò disgusto e amarezza per se stesso. Non pensava che potesse arrivare a tanto. Vera era sotto shock, rannicchiata su se stessa, mezza nuda, sporca di sangue e sudore. Il volto era bagnato di lacrime. Il mascara aveva sporcato il suo delicato viso. Mormorava qualcosa d’incomprensibile. Paolo si sentì carnefice quanto Filippo. Si avvicinò, la aiutò a ricomporsi e a lavarsi il viso, era sconvolta. Provava vergogna, uno schifo indescrivibile. Uscirono dal pub frettolosamente per evitare occhi indiscreti e fare ritorno a casa. Vera sembrava immobile. Il suo sguardo era perso nel vuoto. La sua mente si era chiusa, per giorni non aveva accettato quello che le era successo. Dopo nemmeno una settimana dall’accaduto, Paolo decise di togliersi la vita. Il peso di quella violenza lo perseguitava. Vera capì che non era stata l’unica vittima in quella storia. Fu l’inizio di un lungo incubo.
Il rumore dei blindati portarono Vera alla realtà, si scrollò, come un brivido, quel brutto ricordo dalla mente, una nuova giornata la attendeva. Dietro la porta della sua cella vide un raggio di sole. Celeste era rientrata a lavorare. Tutto poteva sembrare più dolce.