L’INCUBO (Confidenza)
È stato uno dei miei incubi a svegliarci.
Erano circa le cinque del mattino e nella stanza completamente buia, filtrava solo una striscia di luce dalla portafinestra, che illuminava di un chiarore opaco, le assi di legno bianco del pavimento dell’appartamento in affitto.
Vuoi dell’acqua? mi ha chiesto Chris, mentre spostava i capelli sudati dalla mia fronte.
No, ho detto.
Cercava di abbracciarmi ma lo faceva in un modo strambo, lasciando un po’ di vuoto tra i nostri corpi. Come se non fosse sicuro che io lo volessi. Oltretutto, non era uno bravo in queste cose.
Mi sono alzata e ho preso una sigaretta dal giubbotto di pelle, lui ha preso la sua dal pacchetto poggiato sul comodino e senza dirci nulla siamo usciti in terrazzo, scalzi, con le gambe e le braccia nude punzecchiate dal fresco piacevole di un’alba limpida di fine aprile che stava sbocciando sui tetti e le terrazze e le chiese barocche del centro storico.
Il cielo era roseo e brillante, la strada sotto di noi lucida e silenziosa. Ci siamo entrambi appoggiati alla ringhiera, con i gomiti attaccati. Chris mi ha acceso la sigaretta e la fiamma in mezzo a noi gli ha illuminato il volto insonnolito e gli occhi arrossati. Mi è sembrato più bello. Di una bellezza riservata solo a una determinata ora del giorno o della notte, o di un momento preciso.Come durante un orgasmo.
Una volta lui mi aveva detto, sei più bella quando fai l’amore.
Gli avevo chiesto perché, e lui aveva detto che sembravo più libera, che non ero controllata come al solito.
Slegata, aveva detto.
Mi sembrava un po’ così lui adesso, di una bellezza slegata.
Brutto incubo, vero? ha detto
Già.
Mi dispiace.
Dispiace a me di averti svegliato.
Ma sta zitta.
Abbiamo riso.
Ti va di raccontarmelo?
No, scusa. Ho buttato fuori il fumo e ho poggiato la testa sulla sua spalla larga, mi sono avvinghiata al suo braccio massiccio, e glie l’ho accarezzato per un po’.
Le sue braccia mi piacciono molto. Mi piacciono nel senso che ogni volta che le tocco, sento parti del mio corpo sollevarsi verso di lui.
Chris ha poggiato la sua testa sulla mia, ti sei svegliata di botto respirando a bocca aperta come se stessi uscendo dall’acqua dopo una lunga apnea, ha detto.
Sì immagino, ho detto.
Avevi il cuore a mille, ha detto lui, mettendomi una mano sullo sterno, ora è più calmo.
Lo so.
Sentivi che ti accarezzavo mentre sognavi?
No, ho detto, ho parlato nel sogno? Ho detto qualcosa?
No, scalciavi e ti dimenavi, sembravi, non lo so, un animale catturato.
Oh, lo immagino, ho detto. Ho preso la sua mano d’impulso e me la sono premuta sulla gola.
Lui l’ha tenuta immobile e stretta per qualche secondo, guardandomi dritta negli occhi, e poi ha chiesto: vuoi che faccia qualcosa?
Non lo so, ho detto io.
Mi ha accarezzato i muscoli del collo e lentamente ha mollato la presa.
Credi che mi picchieresti? ho detto.
Che cosa vuoi dire?
Voglio dire, se te lo chiedessi, tu lo faresti?
Intendi durante il sesso?
Immagino di sì.
È stato zitto per un po’, poi ha detto, è questo che succede nei tuoi incubi?
Forse, ho detto.
Si è passato una mano sulla fronte un po’ sudata, e ha detto: non sembravi divertirti però mentre sognavi.
No infatti, ho detto.
E allora perché dovresti chiedermi una cosa simile?
Ho alzato le spalle. Forse, ho detto, perché, in un modo o nell’altro, torniamo sempre a quello che ci è stato fatto.
Quanti anni avevi? La sua voce era roca e sottile, gli tremava leggermente.
Pochi.
Credo, ha detto, che se non avessi letto il tuo romanzo, non avrei mai potuto intuire quello che ti è successo.
Che intendi?
Ha respirato forte, e ha guardato verso i tetti delle chiese, voglio dire che sei così libera quando sei con me, c’è questa alchimia tra noi, quando facciamo l’amore sei così selvatica. Non avrei mai potuto immaginarlo. Io una donna come te non l’ho mai avuta.
Ah no? mi è nato un sorriso compiaciuto, pur non volendo. E che donna sono?
Non lo so, meravigliosa.
Non mi piaceva il sesso prima di te, lo odiavo, ho detto e mi veniva da piangere ma mi sono trattenuta pensando ai gatti qui intorno.
Lo odiavi?
Lo detestavo. Quindi, nemmeno io ho mai avuto un uomo come te.
Sul serio?
Sul serio. Non credevo che sarebbe mai stato possibile.
Che cosa?
Essere felici in questo modo. Però non voglio più parlare di questa cosa.
Quale cosa?
Quello che mi è successo. Devo piantarla di fare la martire solo perché mi è successo qualcosa di spiacevole nella vita. Devo crescere, l’ha detto anche Deb.
Lui non ha detto niente.
La pensi anche tu così, non è vero? ho detto.
Credi che sarei qui, con te, se la pensassi così?
Non lo so, a letto sappiamo darci da fare bene io e te, ho alzato le spalle.
Si è messo a ridere, ride sempre quando dico cose del genere, lo mette in imbarazzo.
Magari, ho continuato, questo per te conta più che frequentare una brava persona.
E tu non sei una brava persona?
Non credo.
E perché mai non saresti una brava persona?
Non lo so, immagino di essere ormai una persona danneggiata, difettosa, come una pesca ammaccata. Mi sento una persona corrotta che non si merita niente.
Mi ha accarezzato la testa, dietro le orecchie, come si fa con un cane. Provavo una serie di cose che si scontravano tra loro e che non volevo provare.
Beh, intanto credo che quello che hai passato non sia stato semplicemente spiacevole, ma orribile e che tu abbia il diritto di sentirti come ti senti a volte. Ha smesso di accarezzarmi dietro le orecchie e la sua faccia si è fatta molto seria, gli occhi gli si sono allargati.
Sei stata stuprata, ha detto. Ed io ho trasalito. Come se qualcuno me lo stesse dicendo adesso per la prima volta. Come se non lo sapessi. Nessuno me lo aveva mai detto ad alta voce.
Okay, ho detto.
Quindi, ha detto, ripeto hai tutto il diritto di sentirti come ti senti a volte. Anche se questo significa sentirsi una persona corrotta che non si merita niente. Va bene se ti senti così.
Okay, ho abbassato la testa. Mi sentivo le gambe molli e la testa vuota.
Mi ha preso le mani e ha detto: basta che ti ricordi che non è vero.
Ha gettato il mozzicone giù, ha respirato a lungo. Forse per te la mia opinione non conta, ha detto, ma io vedo più di una brava persona, vedo una persona speciale. Mi ha stretto le mani.
Vabbè, ma noi andiamo a letto insieme, non vale. Sembrano tutti speciali quelli che ci portiamo a letto.
Ha riso e mi ha tirato un tenero schiaffo sulla nuca.
Smettila, ha detto.
Ho buttato fuori un altro po’ di fumo, ho finito la sigaretta subito dopo di lui e poi mi sono allontanata un po’ e sono andata dalla parte opposta del terrazzo, lui mi ha seguita.
Che ragazza problematica, vero? ho detto.
No.
Invece sì.
Io ti sembro un uomo semplice? Non riesco nemmeno a chiamarti amore.
Vabbè ma è vero sono problematica, lo so che lo pensi.
Tu non lo sai quello che penso. E devi smetterla di fingere di saperlo.
Intanto non riesco neanche a dormire come le persone normali, ho detto, farei prima a fare un salto giù.
Mi sono avvicinata alla ringhiera e lui mi ha afferrata all’improvviso con tutta la forza che aveva.
Guarda, che scherzavo, ho detto.
Lo so, ha detto,però continuava a tenermi stretta contro il suo petto, tenendomi con quelle sue braccia nerborute, le mie bloccate incrociate sullo sterno, sentivo il suo cuore battermi sulla schiena come un martello pneumatico.
Davvero hai avuto paura che mi buttassi giù?
No.
Sembri spaventato.
E lo sono.
Da cosa allora?
Da te che te ne vai, in ogni modo possibile o impossibile.
Siamo rimasti zitti per un po’, c’era questo silenzio irreale e questa luce tenera che si svelava stancamente sui tetti come una donna a fine giornata che si sfila le calze e ne restano le gambe affaticate, nude, lattee, il viso struccato.
Hai detto di non avere mai avuto una donna così, ho detto.
È vero.
E io ho detto di non avere mai avuto un uomo così.
Quindi?
Quindi ci abbiamo.
In che senso?
Io ho te, tu hai me. Ci apparteniamo?
Non lo so, piccola, è probabile.
È la prima volta che mi chiami piccola, ho detto, anzi è la prima volta che usi un vezzeggiativo affettuoso con me.
Quindi stai pensando di scappare appena mi sarò riaddormentato, vero?
Mi sono voltata e l’ho baciato. Le nostre lingue sapevano entrambe di fumo ed era bello sentire come la sua mi entrava in bocca, e mi sfiorava i denti, mi levigata il palato e senza saperlo, mi curava con la sua saliva, quella ferita che mi ero fatta nella guancia la sera prima addentando una patata fritta.
Siamo rientrati e abbiamo fatto l’amore con le imposte aperte, e uno di quei gatti del terrazzo che ci guardava dalla portafinestra. Era quello grosso, bianco, con la macchia nera sul muso, come nella canzone di Gino Paoli.
Poi lui si è riaddormentato subito, con un braccio sulla mia pancia, l’ho spostato piano e faticosamente, mi sono alzata, ho preso le mie gocce per dormire, ho fumato un’altra sigaretta seduta sul gradino della portafinestra, mentre accarezzavo la testa morbidosa del gatto di Paoli.
Dopo un po’ mi sono coricata, ho letto per una mezz’ora e poi mi sono riaddormentata anch’io.
Ci siamo svegliati che erano le dieci, Chris mi ha portato il caffè a letto. Abbiamo fatto la doccia insieme, mi ha insaponato delicatamente, ci siamo vestiti, mi ha asciugato i capelli a testa in giù col phon.
Mi ha abbracciato stretta e io mi sono voltata in cerca della sua fronte, avevo un gran bisogno di appoggiarci contro la mia.
Marzia Casilli